
CAMPAGNA
NAZIONALE PER L'USO DELLE CINTURE DI SICUREZZA
Dopo anni di campagne in molti paesi del mondo,
sulle tecniche più idonee a promuovere l'uso delle
cinture di sicurezza esistono ormai moltissimi studi.
Da essi risulta con evidenza che informare gli
automobilisti dei vantaggi delle cinture genera un
atteggiamento positivo pressochè unanime: tutti si
dicono favorevoli al loro impiego, ma non in tutti
quest'atteggiamento si traduce in comportamento. In
Italia pur essendo tutti perfettamente a conoscenza
che le cinture di sicurezza possono salvare la vita
e, per questo ben disposti, più del 90% non le
allaccia: non passa dalle parole ai fatti. Questo
dipende da motivazioni non razionali, legate alla
nostra dimensione "sociale". Viviamo in
gruppo, e siamo profondamente interessati
all'opinione che gli altri hanno di noi. Non esistono
comportamenti positivi o negativi: quello che conta
è il significato che attribuisce loro la comunità.
Sotto questo profilo, le cinture di sicurezza
occupano un'area grigia: tutti ne pensiamo bene, ma
non tutti pensiamo altrettanto bene di chi le usa.
Tendiamo, infatti, a giudicarlo un po'
"bacchettone": chi tiene sempre le cinture
allacciate viene spesso ritenuto eccessivamente
prudente e timoroso. Due caratteristiche oggi poco
apprezzate. Anche se molti guidatori sostengono di
non mettersi le cinture perché sono scomode, i test
non lasciano dubbi. La vera motivazione, quasi sempre
negata, è più profonda: non usano le cinture per
timore di apparire ridicoli. Tra il rischio
(statisticamente non altissimo) di un incidente, e la
(presunta) certezza d'essere oggetto di commenti
ironici, scelgono automaticamente il primo. Per
spingere questo gran numero di automobilisti
(refrattari alle informazioni positive) a mettersi le
cinture, si e' pensato di sottolineare i problemi cui
andrebbero incontro non usandole. Il presupposto
teorico è cercare di controbilanciare la forza delle
"ragioni sociali" con quella delle emozioni
negative. E' così che negli U.S.A. sono stati spesi
milioni di dollari per realizzare campagne centrate
sulla paura. In televisione, al cinema, sui tabelloni
stradali gli americani hanno visto immagini di
macchine accartocciate, precedute (negli spot) da
stridore di freni ed urti di lamiere, con
l'accompagnamento di messaggi minacciosi.
All'automobilista non sono state risparmiate le
tragiche visioni del dopo-incidente: dalle corsie di
ospedale alla sedia a rotelle. Parola d'ordine:
provocargli uno shock. Purtroppo la "strategia
del terrore" non dà i risultati sperati: è,
infatti, efficace solo con un piccolo numero di
soggetti particolarmente sensibili, e per poco tempo.
Scioccati da queste immagini, all'inizio la cintura
se la mettono: ma a distanza di qualche ora, o - al
massimo - di qualche giorno dall'esposizione allo
spot (o al manifesto) spaventevole, la paura se ne
va, e loro tornano quasi tutti al vecchio
comportamento.
Bisogna ricordare che i messaggi minacciosi
funzionano poco anche quando sono ben più reali. Chi
transita, per esempio, sul luogo di un sinistro, dopo
aver visto le auto distrutte, col tragico contorno
d'ambulanze e di polizia, spesso riduce la velocità,
e - se non le aveva - si mette le cinture, ma basta
la prima sosta al motel per un caffè, per tornare
alla velocità di prima, e per dimenticarsi le
cinture.
Nella maggior parte degli automobilisti, invece,
la paura scatenata da immagini tanto crude provoca
una fortissima tensione emotiva, che la mente cerca
di allontanare mettendo in atto tre differenti
comportamenti difensivi: 1) una soprastima di se
stessi, e della propria abilità alla guida ("a
me non succederà, io non ho mai avuto incidenti, io
sono prudente, io guido bene"); 2) un
atteggiamento critico nei confronti della fonte che
eroga la comunicazione spaventosa ("la cintura
non può far miracoli!"). Questo scetticismo si
estende anche ad altri contesti precauzionali; 3) la
valorizzazione delle
"controargomentazioni": le cinture sono
pericolose. In questi casi viene dato credito a tutte
le notizie "a sfavore" delle cinture. Tra
quelle che circolano di più ci sono le presunte
"lesioni da strappamento" che le cinture
potrebbero provocare. Viene poi citato il dramma
dell'automobilista rimasto prigioniero nell'auto dopo
un incidente perché le cinture non si sganciavano
più, e la fortuna dell'altro, scampato al rogo della
macchina per esserne stato sbalzato fuori, grazie al
fatto di non avere le cinture allacciate.
Queste risposte, che il nostro cervello ci
suggerisce per tranquillizzarci di fronte alle scene
agghiaccianti, annullano il messaggio. Si è visto
che nei giovani le campagne centrate sulla paura
possono avere addirittura un esito opposto alle
intenzioni. Il pericolo, così vividamente
rappresentato, può essere, infatti, vissuto da
alcuni ragazzi come un valore aggiunto: un plus, uno
stimolo per mettersi alla prova, o per sfidare gli
altri. Le campagne di sicurezza stradale fondate sul
terrore sono insomma efficaci solo con un piccolo
numero di persone, e per un tempo limitato.
Programmarle e realizzarle costituisce perciò uno
spreco di soldi e di risorse: anche in relazione al
fatto che d'immagini scioccanti ne riceviamo già in
abbondanza dai telegiornali, che - per dovere di
cronaca - ci portano ogni giorno in casa le notizie
(e le riprese filmate) dei più terribili incidenti
stradali. Senza che ciò incida sulla guida di noi
spettatori.
Quanto poco la paura riesca ad incidere sui
comportamenti lo testimonia il dramma di un
personaggio celebre, passato in pochi secondi dalla
cronaca rosa a quella nera. La terribile fine di Lady
Diana si è trasformata in un gigantesco e
interminabile spot a favore delle cinture di
sicurezza. Le televisioni di tutto il mondo hanno
mostrato l'auto distrutta dall'incidente avvenuto in
città, in pieno centro, dove le cinture sono usate
di meno, e invece sono decisive: il 75% dei traumi
cranici si verifica, infatti, proprio in città, tra
i 30 e i 40 km. all'ora, e le cinture li
eliminerebbero del tutto. I media hanno ripetuto per
mesi che la guardia del corpo di Diana si è salvata
perché aveva la cintura allacciata: se lo avesse
fatto anche lei, probabilmente sarebbe ancora tra
noi. Insomma, difficilmente una campagna
"terroristica" potrà avere una risonanza
emotiva e una visibilità di queste proporzioni:
eppure non è bastata a modificare - se non in rari
casi, e per pochissimo - le nostre (spesso cattive)
abitudini riguardo alle cinture.
NUOVA CAMPAGNA PER L'USO DELLE CINTURE 1999
Dalle ricerche sulla comunicazione persuasiva
sappiamo che gli appelli basati sulla ragione
spingono la maggior parte delle persone a sviluppare
un atteggiamento positivo nei confronti delle
cinture, ma che poi solo il 10% le mette.. Dal canto
loro, le campagne "terrorizzanti"
evidenziano che fare appello ai dati reali ( 97.000
morti in 10 anni) e alle emozioni negative, come la
paura, funziona in pochi casi, e per poco tempo. Si
rende allora necessario riuscire a contrastare le
"motivazioni sociali": quelle ragioni,
cioé, che spingono l'automobilista a non mettersi le
cinture. Questo si può ottenere suggerendo a chi
guida che se le cinture gli salvano la vita, è
stupido non metterle per timore del giudizio negativo
degli altri (o perché sono scomode).
Quest'operazione non può essere svolta ,però,
direttamente ,ma in maniera indiretta, facendo uso
della comunicazione nascosta ("l'implicito"
e gli "automatismi deduttivi "che ne
derivano) perchè: 1) è inutile rivolgersi
esplicitamente alla razionalità di questi
automobilisti, più sensibili alle motivazioni
sociali che ai dati obiettivi, 2) un messaggio
nascosto e' più persuasivo perché è più difficile
da rifiutare.
E' inoltre importante, per evitare possibili
opposizioni, che: la fonte di questo messaggio non
sia autoritaria, giudicante o impositiva, ma sia
invece amichevole, vicina e complice. E sicuramente
più che all'autorevolezza conviene far ricorso alla
"comunicazione spiritosa": un particolare
tipo di comunicazione che:
1- attira l'attenzione (ha un forte effetto
collativo come tutto quello che ci piace e ci
diverte) 2- rende il fruitore disponibile e
favorevole (promuove un vero e proprio "campo
affermativo") 3- elude la severità prescrittiva
consentendo di evitare le frequenti resistenze che si
hanno nei confronti delle campagne sociali 1- attiva
una serie di processi psichici che facilitano
l'adozione di nuovi modelli di comportamento
Il gioco di parole ,che da una parte diverte e
dall'altra rimanda ad altri possibili significati
più o meno nascosti, è anch'esso considerato dagli
studiosi di comunicazione, uno dei sistemi più
efficaci di persuasione.
La pubblicità lo sa da tempo, per averlo scoperto
sul campo: non a caso gli spot somigliano sempre di
più a sketch, e sono ricchi di invenzioni verbali. I
pubblicitari cercano inoltre di "importare"
simpatia anche dall'esterno (i testimonial più
corteggiati e pagati sono gli attori comici). La loro
"positività" si può infatti trasferire
automaticamente al prodotto che reclamizzano, che si
tratti di pagine gialle, di tortellini o di caffè.
E' per tutte queste considerazioni che la campagna
a favore delle cinture ha come protagonista la
simpatica e accattivante "maglietta di
sicurezza". La T-shirt bianca con una striscia
diagonale nera dipinta sopra che secondo una
divertente leggenda molto diffusa, avrebbe permesso
ai napoletani di non mettersi la cintura e fregare il
vigile.
Bisogna ricordare che questa leggenda
metropolitana e' molto speciale. Infatti, anche se -
come le altre leggende - e' una storia falsa, che si
diffonde attraverso il tamtam interpersonale e che
molti credono vera perché conferma un loro
pregiudizio ("i napoletani sono geniali e
imbroglioni"), ha un'origine straordinaria. E'
stata inventata dieci anni fa per studiare
l'efficacia della comunicazione orizzontale: la
trasmissione di notizie che avviene da una persona
all'altra. Questa leggenda ha inoltre permesso allo
psichiatra che l'ha progettata (lo stesso che ha
ideato questa campagna) di conoscere, oltre ai
complessi meccanismi della diffusione, anche quelli
che ne rendono impossibile la smentita: a tutt'oggi,
nonostante decine di tentativi di chiarimento, sono
ancora in moltissimi a credere che la maglietta è
stata realmente venduta su centinaia di bancarelle ad
ogni angolo di strada.
ANALISI DETTAGLIATA
OBIETTIVO: Cambiare il significato del
comportamento, trasformando il "chi si allaccia
la cintura è ridicolo" in "chi non si
allaccia le cinture è stupido"
DESTINATARI: Gli automobilisti che non mettono la
cintura sostenendo che è scomoda, ma che sopratutto
temono di essere ridicoli.
VISUAL: La maglietta-testimonial offre numerosi
vantaggi: - è molto nota (raggiunge i target più
diversi). Se n'è parlato dovunque, dai bar alle
scuole agli uffici; è perciò facilmente
riconoscibile e cattura l'attenzione di tutti. - è
"in linea" con l'oggetto della campagna (le
cinture di sicurezza); - è "complice" di
chi guarda. Alleandosi con lui contro l'Autorità,
evita il tono cattedratico e prescrittivo presente in
tante campagne di questo tipo, e le eventuali
resistenze che ad essa si collegano; - è un oggetto
paradossale: questa maglietta viene usata per una
campagna a favore delle cinture di sicurezza, e nello
stesso tempo è un sistema per evitare di mettersele.
In più', serve ad evitare una multa che nessuno
rischia di prendere. Il paradosso, presentando allo
stesso tempo argomentazioni opposte,
"blocca" la razionalità, e favorisce la
prevalenza delle strutture cerebrali che presiedono
alle scelte emozionali; - è un modello di
comunicazione spiritosa: ha divertito chi l'ha
creduta vera, e chi l'ha creduta falsa (essendosi
accorto che non c'è bisogno di ingannare i
permissivi vigili urbani napoletani).
Lo sfondo è costituito da colori allegri: in alto
il rosso scuro, che scendendo diviene rosso chiaro,
arancione, per passare alle varie tonalità del
giallo. Il rosso e il giallo simboleggiano le forze
vitali (il Sangue, il Sole). Questi due colori
reclutano una vivacissima risposta automatica di
attenzione, e provocano nell'organismo una
particolare attivazione fisiologica: in loro presenza
la pressione sanguigna e la temperatura corporea
s'innalzano, e il cuore batte più rapidamente. Il
passaggio scalare dal rosso al giallo rimanda ad un
tramonto: alle belle sensazioni provocate dai bei
paesaggi che fanno da cornice a un lungo viaggio. Un
tramonto come questo ricorda anche, indirettamente (e
inaspettatamente) la quotidianità metropolitana: la
rifrazione dei raggi del sole attraverso lo smog
rende, infatti, i tramonti sempre più vividi e
colorati. Su questo sfondo c'è l'immagine prescelta
per la campagna: un filo al quale, con le
tradizionali mollette, sono appese tre
"magliette di sicurezza" di misure diverse.
Il tratto con cui sono disegnate le magliette è
molto simile a quello dei fumetti, a sottolineare la
loro natura favolistica, "leggendaria".
L'HEAD-LINE:
La scritta: "SMALL. MEDIUM. LARGE."
chiarisce il motivo della diversità delle tre
magliette, e prepara all'headline vera e propria, che
consiste in due brevi frasi. La prima è:
"CON LE MISURE DI SICUREZZA NON SI
SCHERZA".
In questa frase sono contenute tre forme
linguistiche che consentono al messaggio di
"aggirare" la razionalità, e di arrivare
direttamente alla parte emotiva inconscia della mente
che elabora e decodifica i significati dei
comportamenti: 1) il gioco di parole: l'espressione
"misura di sicurezza" allude sia alle
"norme per stare sicuri", sia - grazie
all'immagine soprastante - alle "taglie"
delle magliette appese al filo. 2) Il paradosso:
mentre si afferma che con le misure di sicurezza non
si scherza, ci si sta contemporaneamente scherzando
sopra. 3) L'implicito: è ciò che è contenuto in
una frase, pur senza essere detto. Es:
nell'affermazione: "chiudi la finestra" è
implicito a) che c'è una finestra b) che quella
finestra è aperta. Queste due deduzioni sono
"obbligate", e vengono effettuate in modo
automatico. Inserendo un implicito in un messaggio si
può perciò prevedere quale deduzione farà
automaticamente il fruitore.
L'implicito contenuto in questa frase è:
"visto che non è il caso di scherzarci, queste
misure devono essere molto importanti". Questa
"grande importanza" è l'aspetto
significativo che verrà poi ribadito anche nella
seconda parte dell'head-line.
Il visual (le magliette appese al filo) spiega che
lo scherzo si riferisce alla leggenda-maglietta. Il
fruitore non si sente chiamato in causa. Lui non ha
mai scherzato con queste magliette: ne ha sentito
parlare, ma non le ha nè possedute, né indossate.
Sentendosi estraneo al "rimprovero", che
non lo riguarda, concorda facilmente sull'importanza
delle misure di sicurezza. Anche perché il messaggio
non contiene alcuna prescrizione. In nessun momento,
infatti, viene detto: mettetevi le cinture (su questo
si che avrebbe qualche resistenza).
"LA CINTURA CI SALVA LA VITA. SUL
SERIO."
Questa frase non è altro che la spiegazione della
precedente ("con le misure di sicurezza non si
scherza"). Chiarisce infatti perché sono tanto
importanti per cui quelli che ci scherzano non devono
farlo: perché le cinture salvano la vita. Un'
affermazione, anche questa, ampiamente condivisibile
da chiunque legga il messaggio. Non si dice che non
ci si deve scherzare in nome di un principio morale
astratto, ma che non è utile farlo, per un motivo
concreto: per salvarsi la vita. Semplicemente non
conviene. Questo sposta la prescrizione
comportamentale dal territorio del dovere a quello
dell'utile; e poiché -ovviamente- solo uno stupido
non fa il proprio interesse, ne consegue che non
allacciarsi la cintura e' stupido. Ma se nella prima
parte dell'head-line il fruitore poteva non sentirsi
coinvolto, con la particella pronominale
"ci" (ci salva la vita) viene chiamato in
causa. E allora, dopo che ha accettato che le cinture
sono importanti e chi non le mette e' stupido(perché
ci salvano la vita), il fatto di trovarle scomode (o
che lo fanno diventare ridicolo) gli sembrerà una
motivazione del tutto inadeguata e insufficiente.
Ecco come è possibile attraverso deduzioni
prevedibili arrivare a contrastare il vecchio
significato sociale delle cinture. Ma se è vero che:
"Solo uno stupido non mette le cinture perché
sono scomode o perché possono far sembrare un pò
ridicoli, quando sull'altro piatto della bilancia
c'è la vita",
è difficile ,quando sale in macchina,non
metterle. E ,anzi, poiché penserà di esserci
arrivato da solo ,non sospettando nemmeno la
prevedibilità dei suoi percorsi mentali , riterrà
che la scelta di allacciare le cinture sia del tutto
"autonoma", "libera".
L'accetterà facilmente e tenderà a mantenerla nel
tempo, anche quando non arriveranno più messaggi
dall'esterno.
Le affissioni (cartelloni su strada, nelle pompe
di benzina, sugli autobus, negli uffici postali) e
l'acquisizione di spazi sui più importanti
quotidiani e settimanali rappresentano comunque solo
alcuni dei tasselli di un mosaico che prevede
numerosi interventi articolati e diversificati (dai
corsi di informazione nelle scuole ai concerti
sponsorizzati) tendenti a modificare il significato
di un comportamento così importante come allacciarsi
le cinture. E' stato calcolato che in Italia l'uso
delle cinture potrebbe salvare la vita a più di
mille persone in un anno.
Con questa campagna si apre una nuova frontiera:
l'utilizzazione di una leggenda metropolitana. La
rappresentazione grafica di una storia molto
ascoltata, ma pochissimo vista potrebbe rivelarsi
molto efficace nello stimolare la curiosità del
fruitore, e nell'attivare, con un passaparola tipico
dell'universo della leggenda, un effetto
moltiplicatore sul messaggio. Le "voci che
corrono" (le leggende) diventano per la prima
volta "voci che occorrono": cioè storie in
grado di diffondere messaggi vantaggiosi e dare un
notevole contributo alle campagne di persuasione
sociale.
IDEAZIONE: CLAUDIO CIARAVOLO, psichiatra
ART-DIRECTOR: OLYMPIA PRATESI, architett
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